Tabacco

La lobby Philip Morris e l’amicizia tra Matteo e Marchionne

Il legame Il colosso del tabacco sponsorizza le Rosse e ottiene favori dal governo. Al posto giusto Il capo del Lingotto siede pure nel cda del produttore di sigarette che vive di rapporti politici. Non c’è solo la Fiat (o Fca) a unire Sergio Marchionne, la Ferrari, la famiglia Agnelli e Matteo Renzi. Il rapporto che lega il colosso delle bionde a Maranello vale 80 milioni di euro all’anno. Più che seguire i soldi, in questo caso è meglio seguire la scia del fumo.

renzi marchionne

Non c’è solo la Fiat (o Fca), infatti, a unire Sergio Marchionne, la Ferrari, la famiglia Agnelli e Matteo Renzi. Il snodo è meno visibile dei pubblici elogi, ma non meno importante per capire come mai il premier e il manager col maglioncino siano passati dagli attacchi personali a un rapporto indissolubile: si chiama Philip Morris. E il collegamento porta la cifra di 80 milioni di euro l’anno: tanto vale, infatti, il rapporto che lega il colosso delle bionde a Maranello. Il primo legame è infatti con la Ferrari. Marchionne è amministratore delegato della ex società madre della Rossa, la Fiat Chrysler Automobiles Nv, ma incassa ogni anno 320 mila dollari come direttore non esecutivo di Philip Morris (è nel consiglio di amministrazione) di cui ha rilevato azioni per un valore di 5.2 milioni di dollari, secondo i dati di Bloomberg . Il manager è un accanito fumatore delle Muratti, un altro dei marchi del colosso americano (ma con base a Ginevra). Da anni, cioè dal 1997 (ma già nel 1984 il suo logo comparve sulle tutte dei piloti di Maranello), il gigante delle sigarette è il grande sponsor del Cavallino. Quando la Marlboro (marchio di punta di Philip Morris) entrò in Formula uno aveva il 3,5% del mercato europeo, nel 2002 era arrivato al 14%. Un risultato ottenuto grazie a finanziamenti generosi (mai confermati nei dettagli, ma le cifre circolate parlano di oltre un miliardo di euro). Dal 2005, in forza di una direttiva Ue del 2001, Marlboro non compare più sulla Rossa durante le competizioni, e il legame tra big tobacco e la Formula uno è stato spezzato. Non quello tra la Ferrari e la Philip Morris: ancora adesso, di fatto l’ingaggio dei piloti è pagato dalla società americana. L’ultimo rinnovo dell’accordo quinquennale è arrivato nel 2013, durante l’era di Luca Cordero di Montezemolo e di Stefano Domenicali a Maranello, ma soltanto lo scorso maggio la Ferrari di Marchionne se l’è intestato pubblicamente. Le cifre non sono mai state rese note, ma qualificate fonti spiegano al Fatto che l ‘ entità si aggira intorno agli 80 milioni di euro l’anno.

ENZO FERRARI si piegò al fumo in Formula uno grazie all’opera di convincimento dell’amico Aleardo Buzzi, presidente della Philip Morris Europa. Il suo lavoro è stato ripreso da Maurizio Arrivabene, l’uomo chiamato nel 2014 proprio da Marchionne a sostituire Domenicali come team principal della Ferrari. Arrivabene, 58 anni, approda in Philip Morris (sede di Ginevra) nel ’97 e nel 2007 viene nominato “vice president of global communication & promotions”: è l’uomo che cura la sponsorizzazione per la Rossa. Negli anni a Ginevra, raccontano i ben informati, lo seguiva sempre uno stagista dal cognome promettente: Andrea Agnelli, l’attuale presidente della Juventus, nel cui cda siede dal 2012 lo stesso Arrivabene.

CI SARÀ un motivo se il 5 settembre scorso, all’esordio di Matteo Renzi al forum Ambrosetti, al fianco del premier compariva anche il Ceo mondiale di Philip Morris, André Calantzopoulos. Con i suoi oltre 14 miliardi di soldi versati all’Erario dal settore, l’Italia è la frontiera mondiale dove si gioca il futuro del mercato delle bionde. Il colosso americano ha ottenuto, dopo una guerra di lobby durata un anno, il rialzo dell’accisa fissa (che grava meno sui prodotti di fascia alta come la sua Marlboro) su tutti i pacchetti e uno sconto del 50% su quella che paga sulla sigaretta di “nuova generazione” , a cialda di tabacco ma senza combustione che produce nel nuovo stabilimento di Bologna (600 milioni di euro d’investimento per 600 posti di lavoro). E non è un caso che al ministero del Tesoro è pronto un regolamento che lascia campo libero ai produttori delle bionde di usare il sistema di tracciabilità che si sono fatti in casa: si chiama Codentify, e l’ha brevettato Philip Morris.

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Fonte: Carlo Di Foggia – Il Fatto Quotidiano

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